
Rispondendo ad un lettore preoccupato per le conseguenze che potrebbero derivare dall’autonomia di Veneto, Emilia Romagna e Lombardia, stamattina il Direttore del Corriere della Sera, Luciano Fontana, comprovando l’esistenza di due Italie divise tra Nord e Sud, conclude dicendo che “all’eventuale egoismo dei ricchi del Nord non si può rispondere con le pretese assistenzialiste di tanti governanti del Sud.”
Io gli ho risposto così:
Caro Direttore
Lei ha ragione, purtroppo ci sono due Italie e di questione Meridionale
non interessa a nessuno parlarne. Ma nella risposta al Sig. Domenico
Maria Testa dello scorso lunedì, la sua fetta di ragione, a mio parere
finisce lì.
L’autonomia differenziata chiesta dalle tre regioni padane si basa sul
desiderio di trattenere sul proprio territorio la gran parte delle tasse
che oggi viene versato allo Stato, per poter decidere autonomamente
come utilizzarle. Ovvio che se tutte le regioni avessero la stessa
autonomia, e differente gettito fiscale, ce ne sarebbero di quelle che
potrebbero permettersi ospedali da serie A ed altre di serie B (qualcuna
anche di serie C), e così anche per scuole, trasporti e così via. Il
ruolo costituzionale dello Stato che dovrebbe assicurare il medesimo
trattamento a tutti i cittadini, e che è addirittura impegnato a
rimuovere gli ostacoli che limitano l’uguaglianza (art.3) quale sarebbe?
Quello che da più parti si trascura, e che dovrebbe essere meglio
indagato, è che la ricchezza di alcune aree del Paese meglio
equipaggiate deriva da investimenti che lo Stato italiano, con i soldi
di tutti e dalla sua nascita, ha voluto concentrare principalmente in
quelle aree.
I trafori, le ferrovie, le autostrade, gli ospedali, le scuole? Prima al Nord! Poi se avanza qualcosa …poco però eh!
Per ogni 100 lire di tasse riscosse da ogni cittadino italiano, nel
1900, se ne restituivano sotto forma di investimenti 120 alla Liguria,
74 al Piemonte, 60 alla Calabria e addirittura solo 47 alla Basilicata
(Nitti), e le cifre per le regioni meridionali erano in buona parte
commesse a ditte settentrionali “giacchè, come si sosteneva
ufficialmente, non sarebbe stato prudente approvvigionarsi da ditte del
Sud inquinate di borbonismo”.
Un orientamento mai cambiato in 158 di storia italiana: oggi, se si
consultano i Conti pubblici territoriali (Cpt) ci si accorge che lo
Stato è intervenuto per l’ambiente, la cultura, i trasporti, la salute,
soprattutto al Nord ed ha lasciato ai fondi straordinari (europei) il
compito di realizzare qualche cosa a Sud.
La maggior ricchezza di alcune aree, superficialmente attribuita alla
virtù dei settentrionali, altro non è che il frutto di scelte politiche
nord-centriche, un bottino che si è via via accumulato. Il Sud non ha
pretese assistenzialiste ma chiede che si dismetta il sistema che
assiste industria, banche e politica settentrionale. Per questo il Sud
oggi non può permettere a queste regioni di scappare con la cassa.
Facciamo prima i conti!
Pietro Fucile – Genzano di Roma